Guerra (in)civile
Divisioni sociali e conflitti quotidiani: le fratture interne alimentano il potere e minano la coesione del Paese
IN PUNTA DI PENNA
Gli editoriali del Direttore di Redazione Antonello Rivano
******
L’informazione non dovrebbe mai arrogarsi il diritto di offrire risposte definitive, ma piuttosto deve essere in grado di sollevare domande che stimolino il pensiero e invitino alla riflessione (Antonello Rivano)
******
Guerra (in)civile
L’Italia vive una conflittualità sociale sempre più evidente, una sorta di “guerra (in)civile” che non si combatte con armi, ma che erode progressivamente il tessuto della convivenza. I segnali di questa tensione attraversano ogni ambito: dai rapporti tra cittadini e istituzioni, ai conflitti sociali, fino ai crescenti episodi di violenza verso categorie professionali che incarnano il ruolo dello Stato.
Negli ultimi mesi, aggressioni a medici, infermieri e insegnanti si sono moltiplicate, colpendo figure che da sempre rappresentano i pilastri del vivere civile. Questi episodi, lungi dall’essere isolati, sono il riflesso di un malessere diffuso, alimentato dalla percezione di abbandono e inefficienza. Il sistema sanitario, già sotto pressione per carenze strutturali, vede il personale esposto non solo a carichi di lavoro insostenibili, ma anche a minacce fisiche. Allo stesso modo, le scuole — spazi fondamentali per la formazione delle nuove generazioni — stanno diventando teatro di tensioni tra famiglie e insegnanti, in un clima che lascia poco spazio al dialogo e alla fiducia reciproca.
Queste manifestazioni di disagio non sono che un tassello di un problema più ampio: una società sempre più frammentata, dove il conflitto tra i diversi ceti sociali assume i connotati di una vera e propria “guerra tra poveri”. Le disuguaglianze economiche, già profonde, spingono gli strati più vulnerabili della popolazione a percepirsi come avversari, invece che come alleati di fronte a un sistema che perpetua privilegi per pochi. Questa dinamica si manifesta nella competizione per le risorse essenziali, dai posti di lavoro ai servizi pubblici, generando tensioni che alimentano il senso di insicurezza e isolamento.
Le divisioni sociali non sono però una semplice conseguenza del malessere economico o della modernità, ma spesso si rivelano strumenti di potere. Il principio del “divide et impera”, nato nell’antica Roma, resta straordinariamente attuale: creare conflitti e separazioni all’interno di una comunità significa rendere più difficile qualsiasi forma di resistenza o mobilitazione collettiva. Le contrapposizioni tra Nord e Sud, tra giovani e anziani, o tra centro e periferie non fanno che servire chi detiene il potere, che siano istituzioni politiche, élite economiche o gruppi finanziari. Quando le energie di una società vengono consumate nel risentimento reciproco, diventa impossibile costruire un fronte comune per affrontare le vere cause della disuguaglianza.
Ricostruire una società coesa richiede un cambio di paradigma. Occorrono interventi strutturali per ridurre le disparità economiche, riequilibrare le opportunità tra Nord e Sud e garantire a tutti accesso a istruzione e sanità di qualità. Ma è altrettanto necessario ricucire il tessuto sociale, creando spazi di dialogo e confronto che superino le contrapposizioni. In un momento storico così delicato, la tenuta del Paese dipende dalla capacità di riconoscere e affrontare queste fratture, prima che diventino insanabili.
(L’immagine di copertina è stata generata con intelligenza artificiale per ®Polis SA Magazine)
Antonello Rivano
Direttore di redazione/coordinatore nazionale Polis SA Magazine
Infornazioni sull’autore