
OL. N°11
Spazi aperti alla poesia e alla narrativa

IN QUESTO NUMERO
Poesie
Racconti
Redazione
Poesia
“La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve” Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) in Il postino
Senza Titolo
Ma lo sanno il cielo le gazze ?
Eppure rincorrono il mattino
tramano voli tra i tremuli rami
del nespolo sghembo sul poggio,
si affannano tra mimose precoci
già ingiallite dai giorni ventosi-
senza sapere il mistero del cielo
gli affidano graffi d’impronte d’aria
Danila Olivieri (Inedita ©Tutti i ditritti risrvati)
Pensieri
Sono madre
pur non avendo concepito nessun figlio.
Sono madre
poichè tu mi chiedi il perché di ogni tuo
dolore,
come un figlio devoto
chiede il perché di ogni cosa
alla madre che lo ha partorito.
Giuseppina Rombi (Inedita @Tutti i diritti riservati)
Narrativa
“Va’ là fuori, trova una storia che ami e poi raccontala” Ron Howard
Il respiro del mare
Da quando me ne sono andato, il mare mi manca come una parte di me stesso che non riesco più a ritrovare. Non che il mare sia un oggetto o un concetto da descrivere; è più simile a un respiro, qualcosa che non si possiede, ma che continua a vivere dentro di noi anche quando non lo vediamo più. Ogni tanto, nei momenti di quiete, mi sembra di ascoltarne ancora il respiro, ma solo per un istante, subito sopraffatto dal rumore della città che non lascia spazio ad altro.
Vivo ormai in una terra dove il mare non arriva, ma è sempre presente nel mio pensiero, come una linea che divide e allo stesso tempo unisce tutto ciò che esiste. Lontano da quella distesa d’acqua che ha segnato ogni mia estate, mi ritrovo a vagare in un luogo senza orizzonte, dove i confini sono certi, ma l’anima non riesce più a trovarne pace. La mia mente si riempie di immagini di una vastità che non esiste più: onde che si infrangono sulle rocce, la luce che gioca sulle superfici calme, il confine dell’acqua che si perde nel cielo.
Eppure, c’è qualcosa di più di una semplice distanza fisica, come se il distacco dal mare non fosse solo un allontanamento geografico, ma anche emotivo. Non si tratta di un vuoto, ma di una nostalgia che si radica nell’anima, qualcosa che non può essere né spiegato né colmato. Eppure, ogni volta che guardo il cielo, provo a immaginare che in fondo l’acqua non sia poi così lontana. Perché forse è così che funzionano le cose: non c’è mai una separazione definitiva. Il mare è come una linea invisibile, un filo sottile che lega il passato e il presente, le distanze e i ritorni.
In una città senza mare, il tempo sembra diverso. La sabbia, che prima scivolava tra le dita, si è trasformata in minuti che si accavallano l’uno sull’altro. Le acque placide della mia mente non trovano più il respiro della marea, ma solo l’impazienza di giorni sempre uguali. La quiete è diventata una promessa che non si realizzerà mai.
Eppure, dentro di me, la lezione non è andata perduta. Il mare che unisce e divide, che ci separa ma ci offre anche il coraggio di percorrere nuove rotte, mi segue come un pensiero mai esaurito. È come il vento che soffia da tutte le direzioni senza che io possa trattenerlo, sempre in movimento, sempre lontano. Le sue acque sono il simbolo di un flusso che non si interrompe mai, anche quando sembra impossibile attraversarlo. L’importante è capire che, pur separati dalla sua immensa distesa, non smettiamo mai di esserne parte, come una goccia che, pur svanendo nell’infinito, ritorna sempre a casa.
La malinconia è, in fondo, la consapevolezza che il mare non è mai un luogo fisico, ma un ricordo, un respiro, una condizione dell’anima che non smette mai di parlare.
Antonello Rivano (Inedita ©Tutti i diritti riservati)
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