Mar. Lug 8th, 2025

Economia della tazzina di caffè

Tra leggi del mercato e relazioni umane: cosa ci racconta davvero una tazzina di caffè

La tazzina di caffè, da tempo immemorabile piacere universale per molti, reca con sé risvolti psico-economici spesso sottaciuti ma degni – a nostro avviso – della massima attenzione.  “Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è ?” si domandava sorridendo il mai dimenticato Nino Manfredi in una nota campagna pubblicitaria degli anni ottanta; aggiungendo un altrettanto condivisibile “…più lo mandi giù, più ti tira su”.

       Il prezzo di un bene alimentare – quale appunto il caffè – in teoria dovrebbe seguire la ben nota “legge economica della domanda”: una relazione inversa che lega prezzo del bene e quantità domandata: all’aumentare di una delle due variabili diminuisce l’altra e viceversa.

Vale ciò per la tazzina di caffè consumata al bar se il prezzo aumenta da 1 euro a 1,30 euro ?

       Per i beni alimentari vige anche la c.d. “legge di Engel” (dall’economista tedesco Ernst Engel, elaborata nel lontano 1857) per cui la percentuale della spesa familiare destinata all’alimentazione decresce al crescere del reddito disponibile; in altri termini: tanto più il singolo o la famiglia hanno scarsità di reddito/patrimonio, tanto maggiore è la quota di reddito destinata (meglio, che si vedono obbligati a destinare) all’acquisto di generi alimentari.  Tale “legge” vale anche per la mattutina tazza di caffè ? O essa è consumata indipendentemente da ogni possibile e dolorosa decrescita del reddito ?

       Le “leggi economiche “ sono in realtà leggi un po’ sui generis…Quanto siamo disposti a spendere per la nostra salute acquistando un olio extra-vergine e non un olio comune ? Quanto siamo sensibili ai richiami pubblicitari televisivi (l’irruento e sorridente Tiziano Crudeli che esclama soddisfatto dallo schermo “…Che amore di caffè !”) ? Quanto dipendiamo dai nostri gusti e quanto ci lasciamo influenzare dai gusti dei nostri amici o vicini di casa (teoria psico-economica del comportamento eterodiretto del consumatore di J.Duesenberry, 1949) ? Siamo disposti a rinunciare al cenone di Capodanno o al pranzo pasquale se scende il nostro reddito abituale e rinunciare alla fumante tazzina ?

       Cambiano i modelli di consumo e cambiano gli stili di vita. Il consumatore-medio, ad esempio, oggi, spende sempre più pur di salvaguardare il valore del proprio tempo (verdure-pronte-in busta, pesci e molluschi surgelati e così via).  Addirittura carote, pomodori e insalate vengono prodotti oggi, per l’ autoconsumo, in grattaceli e fabbriche dismesse (vertical farm, plantscraper).

       Ma torniamo alla tazzina di caffè.  Il caffè è in realtà uno dei beni più difficili da inquadrare economicamente; soprattutto avendo in mente la definizione-principe di Economia: Scienza che studia il comportamento umano come relazione tra mezzi scarsi suscettibili di usi alternativi e fini molteplici (Lionel Robbins, 1932).

In termini generalissimi, il caffè (nato in Etiopia, introdotto in Arabia nel sec. XIV  e diffusosi poi in Europa e nelle Americhe) è un bene complementare  con lo zucchero, lo si consuma assieme (come benzina e automobile), è un bene succedaneo con l’orzo (come burro e margarina), è un bene necessario (c’è chi non riesce a concludere il pasto senza portarsi alla bocca la fumante tazzina), è un bene non durevole (esaurisce la sua funzione nel momento stesso in cui il liquido scende nell’esofago), è un bene materiale (prodotto naturale torrefatto, macinato, servito al tavolo del bar), ma al tempo stesso immateriale: per essere un po’ più precisi, è un bene fondamentalmente relazionale.  Secondo la splendida definizione dell’economista Benedetto Gui, il bene relazionale è quel bene “intangibile, di natura comunicativa ed affettiva, generato attraverso le interazioni tra individui”.

       La tazzina di caffè consumata con amici o colleghi di lavoro (indiscussa sacralità della c.d. “pausa caffè”…) può generare infatti relazioni durevoli, come nel caso dell’arte, della musica (lo aveva già segnalato il grande A. Marshall, a fine ottocento); può soprattutto creare “relazioni” che crescono al crescere del numero degli incontri in cui viene a consumarsi il bene stesso (“A buon rendere…” si usa dire quando ci si allontana dall’amico/a  che ci ha appunto offerto un gradito caffè). 

       Quale il paese che consuma più caffè? Pare la gelida Finlandia, con 12 Kg. annui pro capite, l’Italia è al 12° posto con 5,9 Kg.  Infine, perché il caffè è così caro, oggi ? Le opinioni sono discordanti. Quel che è certo è che la materia prima, ad esempio l’arabica, è aumentata dal 2021 al 2024 di circa il 75%, la varietà robusta del 200% rispetto ai valori medi di riferimento (vedasi “Perché il caffè costa troppo?”, in “Eco” n.5/2024). Un aumento della materia prima  – affermano gli esperti del settore – perenne, consistente, crescente…

       Fa bene alla nostra salute, la caffeina, o danneggia stomaco e fegato? Quanti caffè è possibile, opportuno, bere al giorno ? Su questo – ovviamente e giustamente – gli economisti devono silenziarsi e la parola passa a sanitari, nutrizionisti, nonché al buon senso di ognuno.  Assodato che, in dosi limitate (circa 400 mg.), favorisce la digestione ma nel contempo alza la pressione arteriosa ed allontana il sonno, le opinioni sul suo utilizzo tuttavia divergono.

Gli economisti tacciono; forse su un unico aspetto concordano con medici e nutrizionisti: Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è ?
(Foto di Pexels da Pixabay)

Massimo  Bramante

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