Gio. Mar 28th, 2024

L’ULTIMO LAVORO DI GIUSEPPE COLASANTE “SE IL DESTINO È NEL NOME”

“Mi sono lasciato andare ai ricordi, il tepore della fiamma nel camino mi ha tenuto compagnia, ogni tanto ho ricordato con gli occhi chiusi per concentrarmi meglio ma l’effetto, a tratti, è stato l’esatto contrario, ho avuto l’impressione di essere in preda ai fumi del vino, senza averne bevuto, in casa non ce n’è neppure una bottiglia.”

“Mi sorse un dubbio atroce che non riuscivo a risolvere, mi chiedevo: e se stessi sognando? Se tutto quello che faccio, tutto quello che vedo, tutto quello che mangio, insomma, e se non si vive ma si sogna soltanto?

Sapete che vi dico? A distanza di tanti anni ogni tanto ancora mi capita di pensare che sto sognando e che la vita è solo un sogno. Non vorrei che qualcuno, leggendo quello che ho scritto, informasse i miei figli che sono impazzito e li invitasse a farmi curare.”

Giuseppe Colasante, storico militante comunista e sindacalista, poeta e scrittore, nel manoscritto “Se il destino è nel nome” narra i ricordi di un maestro delle elementari di un “paesello con pochi abitanti, una frazione del Comune di Campagna, arroccato sulla cima di una montagna e circondata da un bosco molto fitto”, Serradarce, dove non si può far altro che commentare, giornalmente, le diverse fasi del tempo e del cielo ed i cicli di Madre Natura!

“L’alba comincia ad annunciarsi, spio il cielo dalla finestra per provare a indovinare che tempo mi aspetta, se temo che possa piovere me ne torno a letto.”

Colasante cattura la nostra attenzione – narrando la vita del protagonista che parla in prima persona – con uno stile semplice e diretto, ma in maniera analitica e descrittiva.

“Vivo solo da quando è morta mia moglie, i miei figli sono andati via, non potevano restare, qui non avrebbero potuto trovare un lavoro.”

Un Diario di Vita. Un racconto fresco e veloce della sua semplice ed ordinaria quotidianità, in cui si inserisce, oltre alla passione politica, anche il suo interesse per la lettura.

“Per un motivo o per l’altro rinvio sempre l’inizio della rilettura de I Buddenbrook, pensavo di profittare del tempo morto del viaggio ma non ne ho letto neppure una pagina.”

Un uomo che racconta con ritmo leggero la sua vita, ormai di pensionato, che fluisce come un ruscello lento, limpido e trasparente e che diventa – come un fiume gorgogliante – quando affronta con serenità e calma le dolorose tragedie della vita.

“Il mio ultimo lutto, quello che più di tutti mi ha provocato un dolore indicibile è stata la perdita di mia moglie.”

Un uomo, apparentemente spettatore della Storia, quale “semplice tesserato dell’allora partito comunista”, lettore dell’”Unità” e segretario in età giovanile del circolo dei giovani comunisti, che analizza lucidamente la realtà socioeconomico e politica del suo tempo, ragionando sul tema dell’occupazione, delle organizzazioni politico – sindacali ed osservando pregi e virtù dei giovani.

“Devo dire che sono fortunato, molti giovani del paese sono andati a cercare lavoro assai più lontano, in Piemonte o in Lombardia, se non anche in Belgio o in Germania. D’altra parte, trasferirsi o emigrare è stato ed è il destino della quasi totalità dei giovani, mio padre emigrò in Germania, io stesso trovai lavoro a Torino, tu sei un’eccezione, hai avuto la fortuna di fare il maestro in paese”.”

Il protagonista, Enrico Di Giacomo – nel corso del libro – rivela la sua grande passione di militante comunista coinvolgendo il lettore, con ferventi riflessioni politiche, sulla società italiana degli anni Settanta, reduce dalla Rivoluzione sessantottina, e con la partecipazione attiva nelle sezioni del partito comunista; infatti, Enrico – invitato – si reca a Milano al XIII Congresso Nazionale del Partito Comunista Italiano quando viene eletto Segretario Nazionale Enrico Berlinguer (1972).

“Poi mi sono afflitto al pensare al futuro che aspetta mio nipote. Vivrà in un mondo ingiusto, in un mondo nel quale c’è chi si considera fortunato se ha una ciotola di riso, e chi accumula ricchezze che potrebbero sfamare milioni di uomini, in un mondo nel quale vi sono in tanti Paesi guerre e distruzioni, sotto l’incubo di una nuova, possibile guerra mondiale, magari con il ricorso alle armi termonucleari. Un mondo in cui in molti Paesi la democrazia è una parola cattiva, dove vige la dittatura di una classe o di un uomo solo al comando. Può, un nonno, un padre, una madre essere mai sereno o dovrà vivere i suoi giorni sempre nell’angoscia? A chi mi chiede perché io sia comunista non rispondo citando una frase de Il Capitale di Carlo Marx, forse non mi capirebbe, io rispondo che sono comunista perché voglio la pace, perché ogni essere umano, qualunque lingua parli, di qualunque colore sia, si senta parte di una sola grande comunità, quella del genere umano.”

Colasante costruisce la trama con uno sfondo palesemente politico – senza  mai svelare il finale del romanzo, né facendo percepire il destino dei protagonisti – ed un intreccio di storie di vita tra passato e presente e tra generazioni diverse, come quella tra il nipote del protagonista, anch’egli chiamato Enrico, segretario di una delle Sezioni Giovanili del partito comunista – negli anni in cui operano le frange estremiste delle “formazioni extraparlamentari”- e Maria, neo dirigente sindacalista della CGIL.

 “Dopo poco ho visto arrivare un altro gruppo di persone con il volto coperto, pensavo che si sarebbero riuniti con quelli che erano arrivati prima invece se ne sono tenuti lontano, c’è voluto poco a capire, i primi erano militanti di forze extraparlamentari di sinistra, Avanguardia Operaia, Lotta Continua e Potere Operaio, quelli arrivati dopo appartenevano alle formazioni extraparlamentari di destra Ordine Nuovo e Fronte della Gioventù.”

Lo scrittore Giuseppe Colasante – proiettandoci nella vita del protagonista e della sua famiglia in un periodo storico intenso e tragico, quale è quello degli anni Settanta – ci consente di percepire il sapore del passato, l’odore del presente e la speranza del futuro!

“Mi viene da dire che forse talvolta accade che una persona abbia il destino scritto nel nome.”

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Nicoletta Lamberti

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