Ven. Mag 3rd, 2024

Foto_di _Corinna Fumo

Peppe Barra: “Secondo me il Don Chisciotte è il libro più bello del Mondo”

Il maestro ospite alla trentasettesima edizione del Teatro dei Barbuti diretta da Chiara Natella

di Stefano Pignataro

Eclettico, emozionante, depositario della musica e della tradizione partenopea nel mondo, Peppe Barra, a 79 anni, non smette di consegnare al suo pubblico le sue storie, i sui racconti, le sue fiabe rilette, tradotte ed interpretate secondo la sua cultura de suo amato Gianbattista Basile e le sue riflessioni sulla società odierna ed i suoi mutamenti, non tralasciando una nota amara, anche se breve, verso la mancanza di cultura e verso un Governo “non buono” che “da tanti anni è sempre lo stesso”. Del resto lui, con la sua celeberrima edizione del “Canto dei Sanfedisti” ha dato voce al popolo napoletano ed alle ingiustizie che esso ha subito sotto tanti Regni e sotto tante angherie. Un Canto, quello dei Sanfedisti, che denuncia quella borghese repubblica napoletana installata dai francesi che non seppe interpretare quelli che erano i bisogni reali del popolo.

 Peppe Barra, ospite ieri alla trentottesima edizione del Teatro dei Barbuti diretta da Chiara Natella per il suo tradizionale concerto con la sua orchestra, ha deliziato il pubblico per un’ora e mezza con le sue canzoni di repertorio, alcune delle quali tratte del suo ultimo Disco dal titolo “Cipria e Caffè”, uscito l’anno scorso.

Tante le canzoni come sono stati tanti gli aneddoti, dagli esordi in ambito teatrale al fianco della mamma Concetta e del regista Gennaro Vitiello, passando per i gloriosi anni con la Nuova Compagnia di Canto Popolare con cui realizzò il primo allestimento de “La Gatta Cenerentola” di Roberto De Simone alle canzoni realizzate con gli amici Enzo Gragnaniello sino alla lettura di poesie della tradizione napoletane dei primi del Novencento come Ferdinando Russo.

Foto_di_Antonio Rinaldi

-Maestro, un anno fa ci lasciava Maurizio Scaparro con cui Lei realizzò il Don Chisciotte esattamente quarant’anni fa. Chi sono oggi e Don Chisciotte, i visionari di oggi e come si potrebbe riproporre, ai tempi odierni, un “Don Chisciotte?”

Esattamente uguale a quello di Cervantes perchè Cervantes, come tutti i geni, andava al di là del tempo. Don Chisciotte è una figura di visionario ma un visionario quasi profetico. Secondo me il “Don Chisciotte è il libro più bello del Mondo.

– Un parallelo con la società lo si potrebbe attuare anche per l’Opera da tre soldi, di Brecht con cui Lei si misurò nel 2000. Brecht, con quest’opera,  intendeva scardinare i valori della società piccolo borghesi e porre una  sfida tra criminali e persone per bene..

Come tutte le belle opere, scritte in un’altra epoca, oggi è sempre valida, come tutte le opere scritte con genialità; Brecht si ispirò all’Opera del mendicante nel ‘600 e fu la grande Lotte Lenya che fu la prima grande interprete dell’opera scelta da Brecht e da Kurt Weil. Non saprei oggi se si potesse concepire ad un riadattamento per quest’opera, credo sia difficile se non impossibile.

– Tempo fa  è stato ospite al Festival “La filosofia, il castello e la torre” dell’Ischia International Festival of Philosopy di Ischia. Quale è il Suo rapporto con la Fede?

Sono credente e sono vissuto in un’Isola piena di tradizione, in una Procida degli anni cinquanta, fine degli anni ’40  per cui c’erano tantissime e bellissime tradizioni come vi erano  a Napoli; più che fede direi amore per la tradizione che poi non è altro che rispecchiarsi nella fede. La mia casa è ricca di Madonne, presepi. Ciò che mi spaventa oggi è la mancanza dell’amore per la tradizione soprattutto nei preti, in particolare nei giovani sacerdoti che tendono a cambiare; cosa si vuole cambiare, una tradizione che esiste da 3000 anni? Si dice che la “Fede deve essere unica” ma non è vero perchè la Fede ha bisogno di un certo tipo di colore, di aura, di cose che intorno devono vibrare.

Foto_di _Corinna Fumo

– Siamo nell’anno del Centenario calviniano ed Italo Calvino,  in un testo apparso originariamente nel 1949 su “L’Unità” e poi non più ripubblicato dall’autore (ma inserito poi nel terzo volume Romanzi e racconti apparsi nei Meridiani di Mondatori), scrive di Napoli, in questo suo reportage  sulle condizioni della città nell’immediato dopoguerra, che ” “una città di vetro, in cui non si poteva posare gli occhi in nessun posto senza violare un segreto” riferendosi alla città dei “bassi”. Quale segreto, o quali segreti, secondo Lei, nasconde ancora Napoli?

Io penso che una città come Napoli, che è una città alchemica dove c’è tutto stratificato, tante culture, dalle culture sannitiche a quelle fenicie a quelle spagnole a quelle francesi, una città talmente poliedriche che diventa un grosso nucleo di sensazioni, di movimenti, di culture. Calvino queste cose le sentiva,le  avvertiva e diceva che  “ogni vicolo ha un segreto”  ed è così: se noi scaviamo nella cultura della città di Napoli troviamo misteri; Napoli è una città misterica, basta  guardare, sentire ed ascoltare tutte le storie e le leggende sul Principe di Sansevero”.

Stefano Pignataro
Sezione Cultura
Vice coordinatore nazionale Polis SA magazine

image_printDownload in PDF