Il Pozzo Sacro di Santa Cristina a Paulinatino (OR)
Il Tempio a Pozzo di Santa Cristina: una meraviglia architettonica nuragica che sfida il tempo, accogliendo millenni di storie, leggende e verità, ancorate nei massi squadrati perfettamente intrecciati, risalenti a circa 3000 anni fa
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Santuario Nuragico di Santa Cristina
Di Antonello Rivano
Questa volta parliamo di un “tesoro” vecchio di 3.000 anni, ubicato nell’antica terra di Sardegna.
Il Santuario Nuragico di Santa Cristina, situato nel comune di Paulilatino, provincia di Oristano, è un sito archeologico significativo nella Sardegna centro-occidentale, sulle pendici meridionali dell’altopiano di Abbasanta. È conosciuto principalmente per due componenti distinti.
La parte più studiata e riconoscibile è il tempio a pozzo, un pozzo sacro risalente all’età nuragica, circondato da varie strutture, tra cui la capanna delle riunioni, un recinto e alcune capanne più piccole. Questo complesso è stato oggetto di attenzione e ricerca per comprendere la spiritualità e le pratiche religiose dei popoli nuragici.
In aggiunta al tempio a pozzo, il sito include un nuraghe monotorre e alcune capanne di pietra di forma allungata, di cui si conosce poco riguardo alla loro datazione precisa. Adiacente a queste strutture è situato un villaggio nuragico, ancora parzialmente sepolto e oggetto di potenziali future indagini archeologiche.
Infine, sebbene di interesse archeologico limitato, il complesso è integrato dall’area devozionale cristiana della chiesa e novenario di Santa Cristina, che aggiunge un elemento contemporaneo al sito, evidenziando la continuità di uso spirituale nel corso dei secoli.
STORIA
La storia del Santuario è stata tracciata attraverso una serie di descrizioni e interpretazioni nel corso dei secoli. Nel 1841, nel Dizionario Angius-Casalis, viene fornita una prima descrizione sommaria del complesso monumentale, indicando la presenza di una chiesa rurale dedicata a Santa Cristina e menzionando la festa che vi si tiene il 10 maggio, con una processione fino al pozzo sacro.
Successivamente, nel 1857, Giovanni Spano pubblica un articolo con un rilievo grafico del monumento, interpretando il pozzo sacro in modo confuso, classificandolo come struttura nuragica ma senza comprendere appieno la sua funzione.
Nel 1860, il La Marmora paragona il santuario al Tesoro di Atreo a Micene, evidenziandone l’importanza storica e culturale. Solo nei primi anni del XX secolo, grazie al lavoro di Antonio Taramelli e successivamente di Raffaele Pettazzoni, viene finalmente compresa la funzione dei pozzi sacri in Sardegna, contribuendo alla comprensione del culto delle acque nell’isola.
Nonostante l’importanza del monumento, gli scavi e i restauri iniziano solo nel 1953, seguiti da varie campagne negli anni successivi, condotte da studiosi come Atzeni, Bernardini e Lebeuf. Tuttavia, alcune aree del sito, in particolare il villaggio nuragico, rimangono ancora in gran parte inesplorate, lasciando spazio a future ricerche archeologiche.
IL POZZO SACRO
Struttura
Il pozzo sacro di Santa Cristina, presumibilmente costruito intorno all’XI secolo a.C., è una struttura di notevole importanza e complessità architettonica. È racchiuso da un recinto di forma ellittica, noto come tèmenos, che delimita l’area sacra circostante rispetto a quella profana.
All’interno del recinto si trova un’altra struttura a forma di “serratura”, che conduce al pozzo stesso. Il pozzo è preceduto da un vestibolo, dove si ipotizza si svolgessero cerimonie religiose, seguito da una scala che conduce a una camera trapezoidale. La scala è composta da 25 gradini che si restringono verso il basso, creando un effetto visivo di “scala rovesciata”.
La camera del pozzo sacro è di forma circolare, con un diametro di circa 2,5 metri, coperta da una thòlos (pseudocupola) a volta ogivale alta quasi 7 metri, realizzata con blocchi di basalto lavorati e disposti in filari. La luce all’interno del pozzo, situata a livello del suolo, è ancora oggetto di dibattito se fosse originariamente chiusa da una pietra circolare o meno.
Tutta la struttura del pozzo sacro è realizzata con estrema precisione, con blocchi di basalto lavorati e rifiniti accuratamente, creando un profilo dentellato e un effetto architettonico elaborato. Nonostante l’antichità, la struttura è incredibilmente ben conservata, conferendo al pozzo una grande importanza archeologica e storica.
Ancora oggi, l’acqua sgorga nel pozzo grazie a una falda perenne, mantenendo il livello costante attraverso un possibile sistema di scarico.
Giovanni Lilliu, celebre archeologo sardo, ha descritto il pozzo sacro come un’espressione “principesca” dell’architettura dei templi delle acque, caratterizzato da equilibrio nelle proporzioni, precisione nei dettagli interni e razionalità nella composizione geometrica delle parti. Tale complessità architettonica rimane sorprendente considerando l’epoca nuragica in cui è stato costruito, dimostrando l’ingegno e le competenze dei suoi costruttori.
Funzione
Il pozzo sacro di Santa Cristina aveva una duplice funzione nella vita delle comunità nuragiche che lo frequentavano.
Innanzitutto, il pozzo sacro era il centro di cerimonie religiose legate al culto delle acque. Questi rituali coinvolgevano l’intera comunità e attiravano devoti provenienti da altre parti della Sardegna e forse anche da fuori dell’isola. Le testimonianze di questa pratica includono ritrovamenti come le quattro statuette di bronzo, insieme a figurine e altri oggetti votivi di produzione nuragica. La presenza di gioielli in oro fenici, datati a un periodo successivo all’età nuragica, indica che il culto delle acque perdurò nel tempo, attirando anche influenze esterne.
Inoltre, secondo alcune teorie, il santuario di Santa Cristina potrebbe anche aver avuto un ruolo nell’osservazione e nell’analisi astronomica. Ogni diciotto anni e mezzo, durante il “lunistizio maggiore”, la Luna si riflette sul fondo del pozzo, illuminandolo. Anche durante gli equinozi, i raggi solari penetrano direttamente nella scalinata del pozzo, illuminandone l’acqua. Sebbene alcune obiezioni siano state sollevate riguardo all’ipotesi che la thòlos fosse originariamente chiusa, impedendo l’ingresso della luce lunare, queste sono state confutate da esperti come Arnold Lebeuf e Enrico Atzeni, che sostengono che la struttura esterna non avrebbe impedito alla luce di penetrare all’interno del pozzo.
In questo modo, il pozzo sacro di Santa Cristina rappresentava non solo un luogo di culto e spiritualità, ma anche un centro di osservazione astronomica, evidenziando la complessità delle pratiche culturali e religiose delle antiche comunità nuragiche.
Altre costruzioni
Nelle vicinanze del pozzo sacro di Santa Cristina sono presenti diverse strutture aggiuntive che risalgono alla civiltà nuragica, aggiungendo ulteriori strati di significato al sito.
Un elemento degno di nota è un’ampia capanna circolare con un diametro di circa 10 metri. In origine coperta, oggi ha un’altezza di circa 1,70 metri. Il pavimento è costituito da ciottoli, mentre lungo la parete interna corre un sedile alto circa 30 centimetri e profondo 50. Questa struttura potrebbe aver servito come luogo di riunione per una parte della comunità, suggerendo attività cerimoniali o sociali all’interno della capanna.
A breve distanza dalla capanna circolare si trova un recinto, che probabilmente era utilizzato per tenere gli animali offerti al tempio o destinati ai sacrifici rituali. Questa prossimità suggerisce un legame tra le pratiche religiose svolte nel pozzo sacro e l’offerta di animali come parte dei riti.
In aggiunta, sono presenti i resti di dieci capanne di forma circolare o quadrangolare, disposte in fila. Questa disposizione, riscontrata anche in altri santuari nuragici come Santa Vittoria di Serri, suggerisce che queste strutture potrebbero essere state utilizzate come tabernae, fornendo beni e servizi ai visitatori del santuario, fungendo quindi da supporto alle attività devotionali.
Complessivamente, queste strutture annesse al pozzo sacro di Santa Cristina forniscono un quadro più ampio delle attività e delle pratiche culturali che si svolgevano nel sito durante l’antica civiltà nuragica, evidenziando l’importanza del luogo non solo come centro religioso, ma anche come punto di incontro sociale e commerciale.
IL COMPLESSO NURAGICO
A circa 200 metri di distanza dal pozzo sacro, in direzione sud-ovest e oltre la chiesetta di Santa Cristina, si trova un nuraghe che rappresenta una testimonianza significativa dell’antica presenza umana in questa area. Si tratta di una struttura monotorre, il cui primo piano è ben conservato, con la thòlos (pseudocupola) e la scala di accesso al piano superiore ancora integre. Esso fu probabilmente eretto anteriormente alla costruzione del pozzo sacro, testimoniando una frequentazione del sito anche prima che il pozzo e la relativa area sacra venissero edificati. Questa continuità di utilizzo nel tempo è evidenziata anche dalla costruzione nel Medioevo della chiesetta campestre di Santa Cristina, che ha soppiantato l’antico culto nuragico, ma ha mantenuto viva l’importanza del luogo come centro spirituale. La chiesetta di Santa Cristina, costruita in epoca medievale, ha rappresentato un nuovo capitolo nella storia del sito, sostituendo progressivamente le pratiche religiose nuragiche con quelle cristiane, ma conservando al contempo l’importanza del luogo come luogo di devozione e culto.
Nel bosco di olivastri circostante sono visibili tre capanne dalla forma allungata, probabilmente di epoca successiva all’età nuragica. Queste capanne, tra le poche di questo tipo presenti in Sardegna, erano utilizzate come ricovero per il bestiame. Una di esse è particolarmente ben conservata, con una lunghezza di quasi 14 metri e una copertura a lastre di pietra, mentre le mura massicce formano una sezione trasversale trapezoidale.
Le capanne hanno un accesso principale sul lato corto esposto ad est e un accesso secondario sul lato lungo a livello del suolo, a circa 8 metri dall’entrata principale. La datazione precisa di queste capanne è ancora incerta e si attendono dati dagli scavi previsti in futuro.
Completano l’area i resti di un villaggio nuragico ancora da scavare, costituito da capanne di forma circolare. Intorno sono sparse varie tombe dei giganti e alcuni nuraghi, che testimoniano ulteriormente l’importanza e l’antichità del sito nell’ambito della civiltà nuragica.
IL COMPLESSO CRISTIANO
Il complesso devozionale cristiano si sviluppa attorno alla chiesa campestre di Santa Cristina ed è costituito da 36 piccole abitazioni chiamate muristenes o cumbessias, costruite a partire dal XVIII secolo, come confermato da un’iscrizione sopra una di esse. Queste abitazioni formano un novenario, un luogo dove i fedeli si riuniscono in preghiera nei nove giorni precedenti la festa. Durante questo periodo, i fedeli meno abbienti si recavano ogni sera dopo il lavoro alla chiesa, mentre i benestanti risiedevano nelle cumbessias appositamente costruite per questo scopo.
Le due ricorrenze oggetto di devozione sono quella di Santa Cristina, celebrata nella seconda domenica di maggio (nonostante nel calendario cattolico Santa Cristina sia festeggiata il 24 luglio), e quella dedicata all’Arcangelo Gabriele nella quarta domenica di ottobre. La devozione a Santa Cristina di Bolsena si collega al culto delle acque praticato dagli antichi popoli nuragici: la leggenda narra che Cristina, undicenne vergine protocristiana, fu condannata a morte per annegamento. Tuttavia, mentre veniva gettata nelle acque del lago con una pesante pietra legata al collo, la pietra fu sorretta dagli angeli e la fanciulla fu riportata sana e salva a riva.
La chiesetta, il cui periodo di costruzione è documentato tra il XII e il XIII secolo, ha subito diverse modifiche nel corso del tempo. Degli elementi originali, rimangono solo i muri perimetrali dell’abside, alcuni dei quali potrebbero essere stati costruiti utilizzando pietre prelevate dalla parte in elevazione del pozzo sacro nuragico.
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Antonello Rivano
Direttore di redazione/coordinatore nazionale Polis SA Magazine
Infornazioni sull’autore
Fonti:
-Alberto Moravetti, “Il Santuario nuragico di Santa Cristina”, Guide e Itinerari, Sardegna archeologica, Carlo Delfino editore, 2003, ISBN 88-7138-294-3.
– Goffredo Casalis e Vittorio Angius: “Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S.M. il re di Sardegna – compilato per cura del professore Goffredo Casalis”, 1841, G. Maspero Libraio e Cassone e Marzorati tipografi, Torino.
– Giovanni Spano: “Pozzo di Santa Cristina in Pauli Latino – Bullettino Archeologico Sardo”, Vol. III, Cagliari, 1857.
– Alfonso Lamarmora: “Itinerario dell’isola di Sardegna tradotto e compendiato dal can. Giovanni Spano”, tipografia A. Alagna, Cagliari, 1868. Ristampa anastatica, Edizioni Trois, Cagliari, 1971.
– Antonio Taramelli: “Serri. Scavi nella città preromana di S. Vittoria”, in “Notizie degli Scavi”, 1909.
– Antonio Taramelli: “Il Nuraghe Lugherras presso Paulilatino”, in “Monumenti antichi dei Lincei”, 1910.
– Antonio Taramelli: “Ricerche nell’acropoli di Santa Vittoria” in “Notizie degli Scavi”, 1911.
– Raffaele Pettazzoni: “La religione primitiva in Sardegna”, Piacenza 1912.
– E. Atzeni: “Notiziario”, in “Rivista di Scienze Preistoriche”, XXXII, Firenze 1977, p. 357 (S. Cristina).
– A. Lebeuf: “Il pozzo di Santa Cristina, un osservatorio lunare”, TlilanTlapalan, 2011.
– Giovanni Lilliu: “La civiltà dei Sardi dal Paleolitico all’età dei nuraghi”, Eri 1988.
– “Guida pratica all’Archeologia della Sardegna”; 2003, Barbagia Culur-Jones; pagina 235.
– Sebastiano Demurtas: “Paulilatino e il suo territorio”, Zonza Editori, 1999.
– Giovanni Lilliu: “Nuovi templi a pozzo della Sardegna nuragica”, in “Studi Sardi”, XIV-XV (1955-57), pp. 197-288.
– “La Grande Enciclopedia della Sardegna”, vol. 7, pagina 537; a cura di Francesco Floris; 2007, Editoriale La Nuova Sardegna S.p.A.
– “Il lunistizio maggiore”, su Pozzo S. Cristina – Official.
– Adriano Gaspani, “Elementi di archeoastronomia: la Luna”, su Due passi nel mistero, aprile 2008.
– “Guida Pratica all’Archeologia della Sardegna”, pagina 237; 2003, Barbagia Culur-Jones.
Bibliografia:
– Franco Laner, “Il tempio a pozzo di S. Cristina. Storia, tecnologia, architettura e astronomia”, Adrastea, Mestre, 2004.