Mar. Lug 8th, 2025

I poveri nel cuore della Chiesa

Da Paolo VI a Francesco, un cammino lungo mezzo secolo

Francesco: la Chiesa e le periferie – 3

di Teo Galante Oliva


Questa serie, di sei articoli che costituiscono il saggio di Galante Teo Oliva tratto dal libro Il centro si guarda meglio dalla periferia (Polis SA Edizioni, 2017), riflette sul magistero di Papa Francesco e sulla sua visione di una Chiesa vicina alle periferie, sia geografiche che esistenziali. I testi affrontano temi cruciali come l’educazione, la famiglia, il consumismo e l’individualismo, interrogandosi sul ruolo della Chiesa nel rispondere alle sfide sociali e morali contemporanee. La proposta di una Chiesa povera per i poveri emerge come risposta a un mondo segnato dalla superficialità e dall’omologazione. Se questo aspetto della marginalità e di cura agli ultimi è presente nel DNA del cattolicesimo, perché il pontefice, subito dopo l’elezione, ha sentito la necessità di un riavvicinamento con le periferie? E soprattutto perché e quando si è avuto questo allontanamento?
(Foto di copertina elaborata a partire da immagine di www.vaticannews)

La Redazione


I poveri nel cuore della Chiesa

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Parlando di periferie non possiamo non considerare il cosiddetto “Terzo mondo”, espressione coniata dall’economista francese Sauvy, che indicava tutti i paesi che, affrancati dal colonialismo, si trovavano in condizioni di grande difficoltà. Paolo VI guardava a tutte quelle regioni che erano diventate periferia del mondo. Proprio per questo è importante citare il pellegrinaggio in Uganda, nel 1969, grande evento che vedeva per la prima volta un pontefice recarsi nel continente africano. Il papa in Uganda affermò, rivolgendosi al popolo ugandese: «Voi Africani siete oramai i missionari di voi stessi», «ma non più un giorno chiameremo “missionario” in senso tecnico il vostro apostolato, ma nativo, indigeno, vostro».

È certamente un mo mento importante. Si ribalta un po’ il concetto fino a quel momento vigente: il Vangelo viene non più proclamato dal centro verso la periferia, ma dalla Celebrazione Eucaristica a conclusione del symposium dei vescovi dell’Africa, omelia di Paolo VI. Kampala (Uganda), 31 luglio 1969, cambia completamente la prospettiva. Paolo VI aveva a cuore la situazione del popolo africano: infatti,va con l’Enciclica Populorum Progressio, pubblicata due anni prima del viaggio in Uganda, conferma il ruolo che la Chiesa man mano voleva iniziare a recuperare e si poneva come osservatrice attenta dello «sviluppo dei popoli, in modo parti colare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio».

Oltre a richiamare l’attività che da secoli la Chiesa già svolgeva in quei territori, il papa provava a ridare a essa rigore, mettendo al centro del suo magistero lo sviluppo dei popoli. La Lettera Enciclica Populorum Progressio ha dato il la ai discorsi e alle riflessioni più volte riprese e rinforzate da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Giovanni Paolo II, non solo per il tramite del suo pontificato, ma anche simbolicamente, ha avvicinato la Chiesa di Roma a quelle più periferiche, che per lungo tempo si sono trovate nel silenzio più totale sotto il regime comunista.

Karol Wojtyla è stato il primo papa eletto dopo 455 anni dall’ul timo pontefice straniero, una scelta certamente di apertura verso il mondo da parte dei cardinali e Giovanni Paolo II, “chiamato da un paese molto lontano”, prova e riesce a creare collegamenti e rapporti sempre più forti con le chiese lontane. Durante il papato di Wojtyla sono, quindi, emerse le periferie più che altro “geopolitiche” piuttosto che quelle geografiche della Chiesa. I numerosissimi viaggi dovevano dare la prova che la Chiesa fosse presente in ogni angolo del mondo, una sorta di evangelizzazione per liberare i popoli. Ed è proprio la centralità dei popoli il fulcro della Sollecitudo rei socialis, in cui sottolinea che la negazione o la limitazione dei diritti umani, come il diritto alla libertà religiosa, la possibilità di potersi riunire in associazioni o sindacati, l’opportunità di poter intraprendere iniziative economiche o imprenditoriali non potrà mai portare a uno sviluppo reale dei popoli, sottolineando ancor di più che nelle periferie del mondo, ma anche quelle delle città, il vero sottosviluppo non è solo quello economico, ma anche “cultura le, politico e semplicemente umano”. Il pontefice sottolinea proprio il fatto che i poveri, come abbiamo visto in vari campi, non aumentano solo nel Terzo mondo, ma anche nei paesi più sviluppati (la Sollecitudo rei socialis fu pubblicata nel 1987), anticipando ciò che sarebbe avvenuto in seguito: il dislivello finanziario eclatante tra paesi anche all’interno dello stesso blocco occidentale. Interessante l’analisi sull’importanza di un tetto sotto cui poter vivere.

La debolezza edile o la fatiscenza di edifici oppure la mancanza tota le di un tetto causa non solamente la mancanza del bene in sé, ma anche la difficoltà di essere famiglia, essere umani, e la Chiesa – così come gli stati più ricchi – doveva impegnarsi nel migliorare le condizioni di vita delle persone. Anche Benedetto XVI è dell’idea che la Chiesa Universale deve denuncia re le diverse povertà che attanagliano le periferie o gli Stati in via di sviluppo, ma ha anche l’obbligo di annunciare cosa si può e si deve fare, perché – come afferma lo stesso pontefice – è «importante inoltre evidenziare come la via solidaristica allo sviluppo dei Paesi poveri possa costituire un progetto di soluzione della crisi globale in atto».

Il messaggio di Benedetto XVI si arricchisce e si amplia ancor di più con l’enciclica Deus caritas est che mette la chiesa in movimento per vivere la carità, tirandola fuori dagli spazi in cui si è limitato il suo bene e in cui esso si è rinchiuso. E fa proprio un appello alle organizzazioni caritatevoli della Chiesa a fare il possibile «affinché siano disponibili i relativi mezzi e soprattutto gli uomini e le donne che assumano tali compiti», a uscire, andare ed essere caritatevoli, andare oltre le mura delle parrocchie: probabilmente ciò non ha avuto gli effetti sperati Questo excursus storico per affermare che il pontificato di papa Francesco non è un pontificato estraneo alla storia della Chiesa o di totale rottura con i precedenti; tantomeno è un pontificato “rivoluzionario” in senso estremista.
[Continua…]

Galante Teo Oliva

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