Insieme agli amici dell’Associazione culturale “Pensiero è Libertà” e con l’attivo concorso di un qualificato gruppo di professionisti e di studiosi è parso utile tentare una sintetica ricostruzione di alcuni dei principali snodi che, ormai oltre 40 anni or sono, dal 1968 in avanti, incisero, in maniera rilevante, sulla mutazione dei costumi, il pensiero, la cultura della società salernitana. Una ricostruzione a più voci, raccolta nel volume “ 68 a Salerno, Miti, Utopie e Speranze di una generazione”, pubblicato per i tipi CECOM S.N.C., da me curata assieme al prof.Francesco Sofia. La città, una delle aree del Mezzogiorno sperimentali della politica dei “poli di sviluppo”, aveva vissuto, nel corso degli anni ‘60, una crescita urbana convulsa e tumultuosa. Ed era un concentrato di tutti gli aspetti peculiari di una tipica realtà meridionale. Anche a Salerno il 1968 rappresentò, senza dubbio, la netta chiusura di una fase e l’inizio di una stagione nuova. Un’esasperata e continua tensione manichea, ormai da tempo in atto, ispirata da preconcetto spirito di parte, indulge a svilire e liquidare, senza appello, l’insieme di un’esperienza intensa e di rilievo.
In questa furia iconoclasta, che mira ad annullare qualsiasi discrasia rispetto al “senso comune” indotto dai poteri dominanti, è parso di converso doveroso proporne dall’interno una rivisitazione critica. Chi in varia misura fu partecipe, o diretto protagonista degli eventi, ha teso ad enucleare luci ed ombre per dare un nuovo senso al grumo di ragioni e di valori, in parte ancora attuali, che non vanno sbrigativamente cancellati. Salerno rappresentò, nel più ampio e generale contesto del Mezzogiorno, uno degli esempi più dinamici e fecondi di una mutazione, un’area periferica in cui, ben più di quanto avvenne altrove, si sperimentò un forte ed esteso protagonismo di massa di migliaia di giovani studenti ed operai, in una dimensione mai più avanti nel tempo allo stesso modo replicato. Salerno, alla fine degli anni ‘60, fu un territorio che, in molti aspetti, anticipò tendenze culturali ed economiche, più ampie e generali. E si registrò una netta cesura con i costumi, le pratiche, i riferimenti ideali e culturali antecedenti. Le maggiori istituzioni, a partire dalla chiesa cattolica, ne furono investite e non solo in superficie. Una scintilla, in partenza incentrata sulla critica alla scuola di classe e selettiva, al conformismo e all’autoritarismo che, più avanti, a differenza di quanto accadde a Napoli, ove il processo fu di segno inverso, invase e conquistò l’Università. In quella stagione il confronto e la disponibilità al reciproco ascolto, degli operai e degli studenti, fu l’altro e decisivo aspetto su cui si concentrò la lotta e la speranza per un’Italia e un Mezzogiorno nuovi. Forte fu infine l’apertura al mondo, col tentativo d’individuazione delle ragioni strutturali dell’esplodere dei più aspri e acuti conflitti in lontane regioni del Pianeta. Un inedito passaggio, dalla dimensione in precedenza ancorata alle questioni nazionali a quella globale ed internazionale. Due livelli intrecciati ed interdipendenti. La protesta, per alcuni aspetti confusa e indefinita, esplicitò limpidamente l’indisponibilità alla riproduzione di ruoli sociali rigidamente prefissati, la messa in crisi di valori e gerarchie che da più parti si intendeva riprodurre per inerzia. E scavò contraddizioni trasversali nel sistema politico del tempo. La criticità diffusa, la sete di conoscenza e di sapere, l’ansia di una cultura non filtrata, più aderente ai bisogni immediati della vita, il netto rifiuto di ogni delega in bianco, la volontà di essere protagonisti nella costruzione del futuro, furono alcuni dei fattori di rilievo mai più con la stessa forza e convinzione replicati. Certo fu una tensione, di segno progressivo, che si mischiò a eccessi ed esagerazioni, alcuni anche estremi e gravi. Eppure, in politica e nelle istituzioni, nei vari campi del lavoro e del sapere, dopo quella traumatica rottura, avanzò un bisogno di radicale innovazione e niente più fu come era stato prima. Si sono da allora conseguiti fecondi ed importanti risultati, nell’ ampliamento delle possibilità di accesso all’istruzione, e radicati molteplici diritti prima sconosciuti nel mondo del lavoro, è cresciuto a dismisura il protagonismo sociale delle donne, la società, pur tra contraddizioni molteplici e irrisolte, è divenuta più libera ed aperta. La democrazia è oggi più robusta, più forti gli anticorpi contro ogni eventuale regressione. Le forze più retrive e reazionarie, la cui capacità di egemonia tra larghi strati sociali del paese erano state ingenuamente svalutate, hanno frapposto robuste resistenze al cambiamento. Ma oggi nuovi e stridenti contrasti, tra i distinti strati sociali del paese e tra le generazioni, riemergono con un’attualità solo pochi mesi fa del tutto imprevedibile. Da troppo tempo la società italiana, e in specie il Mezzogiorno, appare come pietrificata e ferma, come ha di recente autorevolmente rilevato Mario Draghi, stretta nelle spire del malaffare e dell’illegalità, della crisi economica e civile. Robuste corporazioni ostacolano ogni possibilità virtuosa di crescita, sviluppo, cambiamento. Gruppi chiusi in sé stessi e legati da un ferreo patto di omertà che, rinunciando a perseguire gli interessi primari e generali del Paese, hanno corrotto le coscienze ostacolando i necessari processi di modernizzazione. E tutto appare, per più aspetti, immobile e ibernato. Le corporazioni, composte da gruppi di politici, economisti, letterati, medici, giornalisti, spesso non selezionati in relazione alla loro qualità, appaiono incapaci di atti generosi, di un’apertura che favorisca il nuovo.
La cultura è spesso disprezzata e ritenuta inutile, fardello residuale e inutile, avanza una nuova e pericolosa cesura tra le generazioni. L’esaltazione esasperata della competizione, il mito della velocità riducono la capacità di riflessione. Viviamo, in particolare nel Mezzogiorno ed in Campania, un equilibrio economicosociale pericolosamente instabile. Privi di convincenti strategie, progetti definiti e priorità. S’indulge nella gestione corrente del quotidiano, non si azzarda una linea ambiziosa su cui spendersi per una lunga fase, si fa fatica a proporre un’idea forza trainante attorno a cui determinare la nascita e lo sviluppo di un potente indotto. Dopo un lungo periodo di torpore i giovani, lottando in questi mesi per la difesa e la qualificazione della scuola pubblica, per il diritto al sapere e alla cultura, esposti alle prospettive di un futuro incerto e gravido di rischi, che per la prima volta, dal dopoguerra , può essere peggiore di quello di chi li ha preceduti, chiedono risposte più sicure. Nell’ultimo decennio circa 300.000 giovani e donne della provincia di Salerno e della Campania si sono mossi verso il centro-nord d’Italia o all’estero. Un nuovo e doloroso esodo, consumato in solitudine e in un silenzio colpevole pressoché assoluto. Straordinarie energie professionali e umane, enormi risorse sottratte al nostro Mezzogiorno. Invertire la china : è questa la sfida prioritaria da affrontare nei prossimi tempi che verranno. Le forze migliori, più capaci e generose, nei campi più svariati delle professioni e del sapere, spesso compresse o emarginate, compattamente riunite, devono far sentire alta la propria voce per superare il momento grave. Concentrarsi sui modi per uscire, con successo, dalla stagnazione e dalla regressione, è questo l’imperativo categorico, il compito dell’oggi, l’ideale filo rosso di congiunzione a quella stagione di 40 anni fa !
Di Piero Lucia