La violenza sessuale digitale nell’epoca dei social media
Una recente sentenza della Corte di Cassazione stabilisce le modalità con cui un account social può diventare strumento di violenza sessuale.
Finalmente abbiamo una pronuncia decisa ed inequivocabile: è sufficiente inviare una foto esplicita, estorta, perché si configuri il reato di violenza sessuale. Lo stabilisce una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione. Ecco perché:
La sentenza stabilisce il proprio principio sul ricorso cautelare e, per questo, non ha affrontato il tema in modo così approfondito da diventare una pietra miliare, rappresentandosi, comunque,come precedente giurisprudenziale di assoluto rilievo.
Il fatto:
Un uomo (ho vergogna a definirlo tale, n.d.a.) invia ad un’adolescente numerosi messaggi sessualmente espliciti tramite WhatsApp. Non pago, persevera nel suo intento malefico, minacciandola di pubblicare su altri social e su siti hot, i messaggi inviati, se non gli avesse inoltrato foto senza reggiseno e se non si fosse resa disponibile a commentare foto di lui nudo, inviatele senza il consenso della malcapitata.
A questo punto mi piace sottolineare che la Giurisprudenza della cassazione, in precedenti pronunce, ha qualificato come violenza ogni modalità idonea a superare le difese della vittima: in questa nozione, quindi, rientrano anche tutte le modalità non brutali, ma comunque “a sorpresa”.
La nozione di atto sessuale comprende ogni “gesto” che importi il contatto con zone corporee idonee a generare nell’agente eccitazione sessuale, ed immagino che non siano stati dimenticati episodi precedenti: a) il giudice che aveva dato la famosa “pacca sul sedere” ad una cancelliera; b) l’impetuoso giovanotto che aveva “stampato” un bacio sul collo ad una ragazza senza il consenso di quest’ultima, entrambi riconosciuti colpevoli di violenza sessuale
Di contro, il nostro Codice penale, qualifica l’adescamento, previsto e punito dall’art. 609 undecies, quale “atto volto a carpire la fiducia di un minore di anni sedici attraverso lusinghe o minacce, per commettere una serie di reati, dalla violenza sessuale alla pornografia minorile”.
A seguito della vicenda giudiziaria che ha tradotto alle patrie galere il (presunto) reo, seppur in custodia cautelare, la Terza Sezione penale della Cassazione ha posto l’indice su due aspetti obiettivamente rilevanti della fattispecie.
Il ricorso alla minaccia, effettuata nei confronti della minore per costringerla a spogliarsi ed inviare foto di sé senza reggiseno ben qualificando – detta fattispecie – come uno uno degli elementi più caratterizzanti della violenza sessuale, ipotesi presente anche nel reato di adescamento (secondo elemento di valutazione della colpa).
In altre parole, l’intensità della minaccia sembra essere stata determinante nella qualificazione giuridica del fatto.
L’assenza di contatto fisico non è stata, invece, ritenuta elemento dirimente. La Cassazione ha ritenuto che l’utilizzo di una chat fosse più che sufficiente, richiamandosi anche a dei precedenti in materia.
In altre parole, la costrizione a spogliarsi, per quanto a distanza e solo “virtualmente”, sarebbe già di per sé un “atto sessuale” rilevante ai fini dell’art. 609 bis del Codice penale.
La sentenza della Terza Sezione penale, interessante e ben scritta, per quanto sintetica, giustamente è ritenuta quale precedente di cui parlare dibattere e sarà di certo un momento di riflessione. Non mi stancherò mai di ribadire che è oramai indispensabile dotarci di leggi che puniscano, in maniera esemplare, i novelli violentatori sessuali digitali.
Va assolutamente sottolineato che la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, è correttamente orientata verso letture “di comprovata sostanza” e relative ad ogni vicenda in cui siano vittime dei minorenni, seppur in ambiente virtuale, dove, ahimè le tutele per i minori sono assolutamente lacunose.
Federico Bergaminelli
Avv.Federico Bergaminelli Esperto di diritto delle nuove tecnologie ICT, TLC, energie rinnovabili e reti intelligenti; proprietà intellettuale e industria; procedimenti innanzi alle autorità amministrative indipendenti e altro contenzioso in materia di privacy nelle comunicazioni.
A latere delle attività di consulenza e con l’entrata in vigore della Legge 190 del 6 novembre 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione), ai cui lavori preparatori ha partecipato direttamente, promuove la costituzione dell’Istituto Italiano per l’Anticorruzione, organizzazione nazionale che gode dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Sin dall’inizio ne è il Presidente.
Professore associato presso l’Università degli Studi di Pisa (Facoltà di Giurisprudenza, titolare del corso su “Responsabilità civile per illecito trattamento dei dati personali”), docente a contratto presso l’Università degli Studi di Cassino (membro del comitato didattico del master in “Innovazione e management nelle Pubbliche Amministrazioni”), presso l’Università “Magna Graecia” di Catanzaro (membro del comitato didattico del master in “Medicina delle biotecnologie”) e presso l’Università degli Studi di Napoli (Facoltà di Scienze Infermieristiche ).
E’ team leader e master trainer di schema ISO 37001:2016 per il gruppo internazionale DNV-GL ed opera quale formatore accreditato in materia di Prevenzione della Corruzione ed in materia di Privacy presso Enti Pubblici ed Enti Nazionali di Formazione. Consulente di Federsanità-ANCI, coordina l’Osservatorio Nazionale sul Fascicolo Sanitario Elettronico presso l’Università “Carlo Bò” di Urbino. E’ socio di vari Istituti nazionali ed internazionali di diritto pubblico. E’ autore di pubblicazioni scientifiche e di commento ed annovera numerose partecipazioni ad eventi formativi e convegni, anche di rilievo internazionale.