Mar. Ott 15th, 2024

Rino Di Martino omaggia Annibale Ruccello al “Barbuti Teatro Festival”

Rino Di Martino protagonista alla rassegna “Barbuti Teatro Festival” con la serata “Omaggio ad Annibale Ruccello”. Incontro con l’attore, direttore di produzione del Teatro Bellini di Napoli.

Attore colto e versatile, da anni Direttore di produzione del Teatro Bellini di Napoli, la serata “Omaggio ad Annibale Ruccello” che ha avuto come protagonista Rino Di Martino è stata una delle più attese e riuscite della rassegna teatrale “Aspettando I Barbuti” diretta ed organizzata dal regista Antonello De Rosa nell’ambito della rassegna del “Barbuti Teatro Festival”.

L’omaggio ad un drammaturgo come Annibale Ruccello, fortemente voluto da Scena Teatro, ha consegnato al pubblico oltre un’ora di un’elegante interpretazione da parte dell’attore che, coadiuvato da una folta squadra di attori, ha divertito ma in sincronia provocato il pubblico con piccoli scorci di una napoletanità a tratti non più presente.

Rino Di Martino, “Omaggio ad Annibale Ruccello” foto 1


Maestro, all’anteprima del Festival dei Barbuti ha portato in scena un applaudito, molto apprezzato, “omaggio ad Annibale Ruccello”, raffinato drammaturgo napoletano che, per la sua incisività, meriterebbe un maggiore studio ed approfondimento. Una scrittura, quella di Ruccello, che partendo dalla ricca tradizione napoletana, si spinge sino ad una tradizione europea. Con che metodo critico ha affrontato questo straordinario viaggio?

Seguendo quelle che erano le intenzioni di Ruccello, rispetto per la tradizione essendo lui laureato in antropologia, con una tesi sulla “Cantata dei Pastori”di Andrea Perrucci.           ,La fortuna degli attori è che più invecchiano più arricchiscono il loro bagaglio emotivo e possono mettere al  servizio del personaggio la loro crescita e la maturità. E’ quello che mi è successo con i personaggi di questo “Omaggio a Ruccello”.

Scomparso prematuramente soltanto due anni dopo Eduardo, il nostro giovane autore si impose giovanissimo alla critica proprio grazie a suoi testi che trasudavano una nuova proposta di drammaturgia napoletana. Ma è giusto dire che Ruccello sia stato un allievo di Eduardo? O è una banalizzazione?

Più che allievo, direi che Ruccello è stato un post Eduardo, i suoi personaggi, pur parlando in dialetto campano, sono diversi per psicologia e lingua da quelli di Eduardo, Si avvicinano più a Viviani che usa una lingua petrosa. Eduardo usa un linguaggio borghese, Ruccello usa una lingua “chiantuta”, aggettivo riferito all’idioma napoletano in quella Posillecheata che Clotilde (in  Ferdinando) si fa leggere da Gesualda.

A quali autori, secondo il suo parere critico, Ruccello si sarebbe ispirato nel corso della Sua carriera teatrale? Lei, nel Suo spettacolo, ne ha citati molti. Vi è un racconto che, secondo Lei, vale la pena descrivere come il più interessante per trama, ambientazione, antropologia umana?

Per le fiabe sicuramente a Basile, con il racconto del serpente, dove troviamo una matrigna crudele, una fanciulla sprovveduta, e una regina intenta solo ai suoi interessi. Mentre in Ferdinando l’opera più compiuta di Ruccello, troviamo una trasparentissima “riscrittura” della Leonie della Strada di Swann. Gli autori di riferimento per Ruccello vanno da Balzac a Thomas Mann, Ibsen, Pinter, Bergman.

Rino Di Martino, “Omaggio ad Annibale Ruccello” foto 2

Variegati e molteplici sono i personaggi dei racconti da Lei raccontati. Quasi tutti accomunati da un tragico destino. Vi è un filo comune che unisce storie di madri disperati o piccoli quadri di vita quotidiana napoletana?

La solitudine, che troviamo in Adrianina, La telefonata, il mal di denti, Maria di Carmelo, In Mamma “Piccole tragedie minimali”, figure di personaggi deportati, che precipitano dalle fiabe della tradizione alla quotidianità insulsa dei nomi (Deborah, Ursula, Morgan, Isaura, Luis Antonio, Andrea Celeste, Dieguito …) affibbiati ai propri figli, un immaginario, diviso fra telenovelas e pallone.

Quest’anno cade il quarantesimo anniversario della messa in scena del suo capolavoro, “Le 5 rose di Jennifer”, la cui messa in scena di Antonello De Rosa ha concluso il Festival dei Barbuti. Un atto unico, una prosa incalzante, una storia che ha offerto al giovane Ruccello di dare

Rino di Martino (Foto di Enzo Iamunno)
Rino di Martino (Foto di Enzo Iamunno)

prova del suo talento di drammaturgo che fece coppia con un testo divergente scritto anni dopo quale “Notturno di donna con ospiti“. In quale elemento si può riscontrare la straordinaria Modernità di questo testo?

Un autore che nei suoi personaggi, fa ridere pur essendo tragico, fa riflettere, racconta quello che c’è di più tragico nell’essere umano. Una continua commistione fra la realtà e il sogno che s’accampa nella drammaturgia di Viviani, l’autore al quale, assai più che a Eduardo De Filippo, lo stesso Ruccello dichiarò di sentirsi vicino.

Indubbiamente, Ruccello segna un punto nel teatro di quasi fine millennio. Secondo Lei, si può riscontrare un elemento letterario che ci possa far ben comprendere la lettura di fine anni settanta-inizio ottanta?

La struttura narrativa da “giallo” e l’atmosfera da thriller, Il delirio e l’incubo, i personaggi si nascondono in bunker, il monolocale di Jennifer, la cucina di Adriana, il soggiorno di Ida, la camera da letto di Clotilde. La paura o la minaccia dell’esterno.

Stefano Pignataro

image_printDownload in PDF

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *