Ven. Mar 29th, 2024

Rino Di Martino durante lo spettacolo “Hamletmachine” di Heiner Muller (Foto pagina FB dello spettacolo)

Rino Di Martino e il dramma di Muller

“Hamletmachine”,Rino Di Martino, attore teatrale versatile ed eclettico, ha messo in scena un dramma complesso postmoderno che dimostra la caducità dell’essere umano e le sue conflittualità.

Successo, interesse e coinvolgimento per lo spettacolo “Hamletmachine” di Heiner Muller portato in scena dal celebre e versatile attore teatrale napoletano Rino Di Martino in occasione della rassegna teatrale “Il gioco serio del Teatro- La Ripartenza”

di Stefano Pignataro

Una rassegna a cui il Direttore artistico Antonello De Rosa e il Direttore organizzativo Pasquale Petrosino hanno, con passione, dedicato studio e rigore scientifico per presentare a tutti i salernitani e non solo una rassegna di alto livello culturale e contenutistico dopo un periodo di restrizioni (ma per il settore teatrale sarebbe più corretto discorrere di chiusura totale) ferali. Una stagione che, come tutte quelle firmate De Rosa-Petrosino- non ha deluso le aspettative facendo registrare ogni serata un tutto esaurito con spettacoli interessanti e variegati, dalla commedia al dramma, dal testo d’autore al monologo classico, il tutto approfondito ed arricchito dal “Salotto letterario” con protagonisti gli attori condotto dall’artista musicale Gio Di Sarno.

Nome che ha arricchito la rassegna con la sua presenza ed il suo spettacolo, Rino Di Martino, attore teatrale versatile ed eclettico che con il suo talento ha messo in scena un dramma complesso postmoderno che come pochi testi dimostra la caducità dell’essere umano sempre diviso tra vita e morte, stabilità ed instabilità, ragione e sentimento, razionalità ed alienazione. La storia di Laslo Raijik, stalinista, responsabile delle purghe stalinane che, scelto come capro espiatorio, fu perseguitato come fu perseguitato il figlio, spia ai tempi del 1956, ma che poi dovrà subire una riabilitazione come comunista. Una situazione esistenziale degna dell’Amleto di Shakespeare su cui quasi sicuramente Muller sintetizza i drammi e i conflitti degli intellettuali della Germania dell’Est.

Sergio Sivori

La trasposizione di De Martino è affidata alla regia di Sergio Sivori che con acuta sensibilità affida al talento dell’attore partenopeo ed ad una scenografia essenziale e ben curata il dramma psicologico di Rajiik.  Disteso su una distesa di oggetti che sono anche la sua coltrice, il protagonista vaga, parla e sussurra al pubblico; L’opera di Muller, aldilà di ogni possibile interpretazione, ci appare come uno spartito breve e perfetto e rivela sotto la superficie altri canali, lasciando spazio ad una navigazione “invisibile” mediante la quale il performer può e deve, generosamente, mettere in campo la sua biografia professionale-racconta Siviori-.trascendendo l’idea di intraprendere una via a senso unico, evitando di cullarsi nell’idea di interpretare un ruolo. Questo “nostro” Hamlet si è allontanato notevolmente dall’impianto originario, generando nuovi significati. L’azione nel nuovo contesto si articola in una partitura precisa, un dialogo con le “ombre degli assenti”, Hamlet, nella mia visione, convoca “assenze” che prendono corpo; si fa Medium tra un passato ed un presente senza mai identificarsi. Hamlet si limita a danzare la storia con i suoi limiti, prediligendo una fruizione emotiva, stimolando lo spettatore ad abbandonarsi fisicamente ad un rincorrersi di suggestioni, condizionamenti, impressioni, lenti avvicinamenti ed improvvisi capovolgimenti di sessi e di ruoli lasciando che il ritmo travolga lo spettatore mentre tenta di aggrapparsi al senso.”. Parole, quelle di Sivori, che dimostrano quanto di utopico ci sia ne “La macchina di Amleto” e quanto di utopico stesso ci sia nell’interpretazione di Di Martino: una recitazione straziante e coinvolgimenti che rappresenta ciò che non c’è o che vedo soltanto il narratore, chiuso nella sua frammentaria identità chiusa nel suo non definito abbigliamento.

Rino Di Martino

Pur appartenendo a due epoche enormemente differenti, si è già provato ad accostare l’opera di Muller con il dramma shakespeariano. Secondo il regista, Muller, a metà degli anni sessanta “mette mano a un processo di scomposizione della forma drammatica nelle sue opere, paventando la necessità di una nuova forma di scrittura scenica. Ecco quindi come “Il ruolo del dramma è riparatore e cerca ciò che una società contiene nei suoi limiti”. “Per Müller-continua Siviori- è necessario cercare una via che mostri il sovvertimento dei limiti, e che dinamizzi quell’architettura drammatica che non funziona più.L’opera di Shakespeare, lo porta nel 1977 a comporre Hamletmachine, praticando una scarnificazione dell’opera, “uno strappo di carne e superfici” ,una sorta di dispositivo detonante che smantella convenzioni drammatiche e culturali. Così, quest’opera ci appare come l’essenza di un’opera disarticolata di un testo classico.” E se Robert Scruton, uno dei critici più radicati del postmodernismo parla della corrente letteraria di Lyotard come una corrente cinica, senza alcun significato”, Siviori, anche sull’esperienza della regia di un autore postmodernista, rileva che il filosofo” attacca l’intero inventario dei diversi progetti postmoderni, ma si limita a criticare le discipline umanistiche postmoderne e certi elementi dell’arte postmoderna”

Heiner Muller

L’opera di Muller-conclude Sivori- smentisce quanto meno la mancanza di significato attribuita al postmodernismo in generale, tenendo conto che le istanze del teatro sono altre e non del tutto assimilabili alla scrittura quanto allo spazio teatrale e al corpo dell’attore perché in fondo si ha la necessità di ritrovare una relazione efficace, autentica, con lo spettatore. L’intera opera di Muller potrebbe essere interpretata come un testamento per una nuova scena: Müller riprende il personaggio di Amleto e lo pone a confronto con un problema contemporaneo, facendo riferimento a circostanze sociali, storiche e politiche, restituendo una drammaturgia sulla disperazione e l’orrore.
L’intera Europa è ridotta in macerie ed è presentata come un mondo senza possibilità di ricostruzione.

Stefano Pignataro
Sezione Cultura
Vice coordinatore nazionale Polis SA magazine

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