Mar. Ott 28th, 2025

La Sardegna che non si arrende

“La vita va cosi”. Dal film di Riccardo Milani un punto di partenza per raccontare le nuove schiavitù della Sardegna: dal cemento all’eolico, tra resistenza e dignità


“L’informazione è la chiave per capire il presente, ma può diventare solo rumore se non ci fermiamo a pensare.” A.R


C’è una Sardegna che non appare nei cataloghi turistici. Una Sardegna che non sorride ai visitatori, che non si presta alla retorica delle acque cristalline o dei tramonti perfetti. È la Sardegna di Efisio Mulas, pastore ostinato e silenzioso protagonista del film di Riccardo Milani La vita va così, una commedia che sa farsi denuncia, ritratto e atto di resistenza civile.

Milani racconta un uomo solo contro il cemento, contro la promessa del progresso che, come sempre, arriva da fuori e chiede in cambio la terra, l’anima, la memoria. Efisio non alza la voce: resiste. La sua ostinazione diventa simbolo di una comunità che da secoli si difende dal potere, qualunque volto esso assuma. Dietro il sorriso e la leggerezza del racconto, La vita va così parla di resilienza – quella vera, non imposta come parola di moda ma vissuta come necessità – e di dignità, che in Sardegna ha sempre avuto il profumo acre della terra arsa e della fatica quotidiana.

Il film denuncia una nuova forma di schiavitù moderna: quella che lega il destino di un popolo alle scelte di pochi, lontani e spesso indifferenti. E apre uno sguardo su una storia che la Sardegna conosce bene: una storia di occupazioni silenziose, di promesse travestite da progresso, di libertà sempre da riconquistare.

La prima schiavitù è quella del cemento. Ha divorato coste e campagne in nome del turismo e dell’edilizia, sostituendo l’autosufficienza con la dipendenza stagionale. Ogni cantiere ha cancellato un pezzo di identità, lasciando dietro di sé paesaggi feriti e illusioni di benessere. È la stessa logica contro cui Efisio Mulas si ribella: non solo salvare un terreno, ma dire basta alla trasformazione di un’isola in merce.

Poi c’è la schiavitù militare, quella che ha consegnato intere porzioni di territorio alle servitù NATO. Salto di Quirra, Capo Teulada, Capo Frasca: luoghi splendidi e avvelenati, sottratti alla vita per addestrare la guerra. La Sardegna ha conosciuto il paradosso più amaro: essere sacrificata per la sicurezza altrui. È la schiavitù del silenzio imposto, del territorio negato, della dignità sospesa.

E poi ancora la schiavitù industriale, quella delle grandi fabbriche promesse come riscatto. Dalla SIR di Rovelli a Ottana, da Portovesme alla Saras, l’isola ha vissuto il sogno e l’inganno della modernità produttiva. L’industrializzazione è arrivata come un dono, ma ha lasciato inquinamento, disoccupazione, deserti chimici, e un popolo disilluso. Era la schiavitù della speranza: la convinzione che bastasse piegarsi al modello altrui per essere liberi.

Oggi, alla lunga catena delle servitù, se ne aggiunge un’altra, forse la più subdola: quella energetica. Le pale eoliche che avanzano sulle colline, i parchi fotovoltaici che occupano le campagne, e ora l’eolico offshore che si prepara a prendere il mare. Distese di torri alte come grattacieli pronte a sorgere davanti alle coste, decise altrove, pianificate altrove, volute altrove. La chiamano transizione ecologica, ma spesso è solo una nuova forma di colonizzazione. Il vento, che nel film è respiro di libertà, nella realtà diventa merce da catturare, energia da esportare. La Sardegna rischia di diventare la batteria d’Italia, ancora una volta fornitrice di risorse senza potere sulle proprie scelte.

Non è una battaglia contro le energie rinnovabili, ma contro un modello che esclude chi abita i luoghi e cancella la partecipazione. Una volta erano le basi, poi le fabbriche, poi i resort: oggi sono gli impianti energetici. Cambia lo strumento, non la sostanza. La logica resta la stessa: prendere e andare via.

La vita va così racconta la battaglia di un uomo che diventa la battaglia di tutti. Efisio non lotta solo per sé, ma per un principio universale: la libertà di non cedere, di non diventare complice del proprio sfruttamento. È una libertà che si esercita nella quotidianità, nella scelta di restare, di custodire, di non piegarsi.

Forse è proprio questa la lezione più urgente per la Sardegna di oggi. La libertà non è concessa, si difende. Come una terra che non si vuole lasciare, come un mare che si vuole ancora guardare senza sentirsi ospiti. Dopo la terra e l’aria, anche il mare rischia di essere occupato. Ma finché ci sarà qualcuno disposto a dire no, come Efisio Mulas, la Sardegna continuerà a ricordare che la vita, a volte, va così: dura, ostinata, e libera.

Antonello Rivano

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