Le storie di Colasante e Piccolo ci dicono che è la vita a scegliere i nostri percorsi La crescita umana e politica di un ragazzo nato tra le colline salernitane
di M. GIUSTINA LAURENZI
Questa settimana credo di aver battuto un record. Ho letto due libri, tutti e due di autori che dichiarano di essere stati comunisti. In un tempo in cui la parola “comunista” compare solo nei discorsi di Berlusconi, mentre quelli che si dicono di sinistra non ammetterebbero mai di esserlo stati perché sarebbe come confessare di avere avuto la lebbra, questa combinazione mi ha piacevolemente colpita. E trovo esatta la definizione che si legge nel risvolto di copertina del libro di Francesco Piccolo “Il desiderio di essere come tutti”: “F.P. ha scritto un libro anomalo e portentoso, che è insieme il romanzo della sinistra italiana e un racconto di formazione individuale e collettiva:sarà impossibile non rispecchiarsi in queste pagine (per affinità o per opposizione), rileggendo parole e cose, rivelazioni e scacchi della nostra storia personale, e ricordando a ogni pagina che tutto ci riguarda”.
E aggiungo che Piccolo scrive con la sua solita, divertente ironia, anzi autoironia, fin dall’inizio quando racconta di essere diventato comunista durante la partita della Germania dell’Ovest contro la Germania dell’Est nel 1974. Seduto a guardarla col padre, dichiaratamente di destra, che tifava per la Germania “quella vera”, come diceva lui, Francesco ebbe come una folgorazione quando Sparwasser, della Germania dell’Est segnò un gol strepitoso. In quel momento sentì chiaramente che qualcosa in lui stava cambiando: era diventato comunista.
E l’altro libro è quello di Giuseppe Colasante, “Il pastore”. Ma lasciate che vi presenti Peppe Colasante (così lo chiamiamo noi amici). Io l’ho conosciuto anni fa quando Mario Tarallo, ex sindacalista, ebbe l’idea di fare un documentario dove si desse memoria del comunismo a Salerno e in generale nel Sud d’Italia. A farci da guida, a raccontare, avemmo un bravissimo Ninì Di Marino, che, anche se già provato dalla malattia, ci fece “rivedere” quegli anni con la stessa, immutata, passione politica. A scandire i capitoli, per la situazione complessiva nel meridione, chiamammo Biagio De Giovanni e, come testimoni, Peppe Colasante e poi ancora Biagina Daniele (militante e vedova del grande sindacalista Galante Oliva) Giuseppe Manzione e Giuseppe Chirico, tutti compagni del periodo che andò dal dopoguerra agli anni settanta. E Peppe fu di grandissimo aiuto anche perché, quando smantellarono la federazione comunista di Salerno, furono lui e sua moglie Rita (importantissima presenza nella sua vita) a raccogliere e conservare tutte le foto, i manoscritti, i verbali delle assemblee del PCI . Così, con lui, non mi limitai alla solita intervista, ma lo frequentai per un po’ di tempo e lui, generosamente, mi prestò tutto quel prezioso materiale perchè lo adoperassi per il nostro video. E diventammo subito amici. Ci raccontò di come era diventato comunista, da bambino, ascoltando i discorsi di un artigiano che aveva la bottega sotto casa sua. Quell’uomo, ci disse, si faceva prestare i giornali perché “doveva informarsi” ma non aveva i soldi per comprarli. Tra l’altro, Peppe è un attore comico, suo malgrado e fu es. ilarante il racconto (registrato) della sua prima riunione da “dirigente”, a nemmeno dieci anni, dove tutti lo guardavano divertiti, lui così piccolo e serioso, con L’Unità in tasca.
Ma quello che ancora mi resta impresso per quanto mi commosse, fu quando ci parlò delle scuole di partito dove “tanti compagni” disse “prendevano una penna in mano per la prima volta nella loro vita, imparavano a leggere e scrivere” e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
“Il pastore”, suo quarto romanzo, è quasi una parabola nella quale seguiamo la crescita umana e politica di un ragazzo, nato tra le colline salernitane, abituato a pascolare le pecore,a cui si impone di andare a scuola. Di qui poi un cammino veloce verso la conquista di un lavoro che diventa anche subito consapevolezza dei diritti dei lavoratori, lotta, delusioni. E questa è la parte del libro che Colasante descrive molto bene , con un’urgenza di scrittura che non gli evita neppure qualche refuso perché tutto deve essere detto subito, presto e deve arrivare con forza al lettore. Ad accompagnare la sua storia che sa molto di arcadia, gli acquerelli di Roberto Visconti, ex senatore Pci, che per il loro lirismo e la loro leggerezza sembrano proprio le illustrazioni di una fiaba.
E anche la storia di Colasante, come quella di Piccolo, ci dice che è la vita a scegliere i nostri percorsi individuali, spesso anche casualmente, ma inesorabilmente. Così il giovane pastore, poi operaio, poi, imprenditore di se stesso, prima povero, poi ricco, torna al suo gregge perché “le pecore riposano all’ombra della quercia, io ho scelto di sedermi al riparo di un ulivo secolare e mi sorprendo a scoprire che le sue foglie si muovono lentamente, anche con l’aria ferma. Poi ho capito, il vento non c’entra niente, quello è il respiro del mondo” e aggiunge: “Non sono pentito di tutte le cose che ho fatto, sono esperienze che comunque ti arricchiscono e poi, se non avessi toccato con mano e visto con gli occhi quanto possa essere arida e scialba la vita che si conduce in una civiltà resa frenetica, forse anche io penserei quello che pensano quasi tutti e cioè che il mio lavoro sia un lavoro di merda, e non sarei, come invece sono, felice e orgoglioso di essere Giuliano il pastore”.