Quando mi sono ritrovata il secondo quaderno dell’Istituto Galante Oliva tra le mani, ho capito subito che mi avrebbero tenuto compagnia due personaggi: Paddy e il 1° Maggio. Con Paddy alias Galante Oliva c’eravamo già incontrati in una precedente pubblicazione curata, come in questo caso, dal figlio Mimmo Oliva. Il 1° Maggio lo vivo ogni anno da quando ne ho memoria; viene da chiedersi qual è il filo rosso che li lega? E’ la vita di Galante Oliva, uomo di pianura, sindacalista vissuto negli anni dove l’Italia s’era fatta, c’era la Costituzione, ma si continuava a lottare per “tre cose: lavoro, pane e libertà”. Mimmo Oliva ci conduce ancora una volta sul sentiero battuto da un uomo che rievoca le sue esperienze di vita, di lotta, di speranza. Ma lo fa, a mio avviso, attraverso tre momenti fondamentali. Il primo sotto forma di diario, comincia con una narrazione attenta e rispettosa di anno in anno dei “primo maggio” del padre, riportando fedelmente i pensieri, le sensazioni, l’atmosfera nella quale quelle giornate venivano vissute. Emblematico è il titolo dell’opera “a me pare che il mondo resti fermo” il quale trova subito una sua più ampia definizione proprio nelle prime pagine, quando s’apprende che i problemi irrisolti di quegli anni somigliano tanto ai nostri nodi al pettine ancora da sciogliere : “volevamo migliori condizioni di vita e di lavoro, volevamo migliori salari, volevamo meno rappresaglie, volevamo meno sfruttamento, volevamo libertà”. Certo la società è cambiata, ma gli uomini vogliono ancora le stesse cose. Le stesse di Galante e dei suoi compagni, i quali ci raccontano di un mondo che vive la sofferenza e che chiede la pace. Il valore del 1° Maggio acquista così un significato particolare, quello che invece oggi si è perso. Una festa dove incontrarsi e fare il punto della situazione, per ragionare sulle vicende locali ma non solo, anche su tutta quanta la situazione internazionale: la guerra fredda, la Spagna, il Cile e il Portogallo sotto la dittatura fascista, il disarmo atomico, il referendum sul divorzio. Questioni storico-sociali che venivano messe in risalto in tutti i discorsi preparati per i cittadini. A tal proposito Mario Avagliano nella sua prefazione ci ricorda l’importanza che hanno avuto a quei tempi “le sedi dei partiti e dei sindacati” per tutte quelle persone che non avendo potuto studiare sono riuscite in essi a maturare e a consolidare “un’identità politica e culturale e la capacità di guardare oltre il giardino della propria città”. Galante ci racconta che un tempo i lavoratori non potevano nemmeno prendere parte alla festa. Leggiamo di padroni i quali concedevano la pausa dal lavoro una volta l’anno. Ovviamente li “costringevano” ad “andare in gita”proprio quel giorno. Il più delle volte nemmeno a loro spese. In un periodo nel quale si lottava per l’approvazione dello statuto dei lavoratori, per le condizioni misere delle donne nelle fabbriche, per il divario tra nord e sud, per il riconoscimento delle qualifiche e per la libertà sindacale. In questo scenario il lettore viene preso per mano e accompagnato lungo il secondo momento: quello delle istantanee. Un viaggio fotografico della Nocera Inferiore attraverso i suoi “primi maggio” dal 1951 al 1976. A me pare che la forza delle immagini sia tale da far risaltare subito l’evidente differenza tra quello che è stata e quello che è diventata questa festa. Si vedono strade affollate da uomini, donne e bambini. Ci sono bandiere, cortei, fiori. Si vede la gioia, l’orgoglio e la speranza che troppo spesso s’è persa negli occhi. Oggi lo si commemora con un mega concerto, qualche passaggio alla televisione sull’importanza storica e il corteo, per quelli che ancora ci credono. L’ultimo momento ci riporta ai fatti, ai numeri, al dato oggettivo. Possiamo leggere in forma originale tutti i discorsi di Galante Oliva dal 1° Maggio 1956 fino al 1° Maggio del 1974. Materiale d’archivio prezioso per la ricerca storica e per tutti quei lavori che da questi argomenti prendono le mosse. Colpisce la puntualità delle sue riflessioni. Nondimeno la forza delle parole che “erano tristi, amare, erano allegre, piene di speranza, erano coraggiose, eroiche”. Parole che “erano uomini”. I versi del poeta rivoluzionario Nazim Hikmet, sanno dire meglio di me. Il libro in chiusura s’arricchisce con la presenza delle appendici; che ci regalano ancora delle emozioni attraverso la lettura della poesia “Le monache Rosse” di Gabriele Sellitti. Mirabili versi dedicati alla condizione delle donne operaie di Nocera. Piene di speranza sono invece le due poesie di Michele Villani scritte per il “Primo Maggio” del 1965 e del 1968. Mentre di grande valore storico sono i due documenti riguardanti uno la “Relazione al convegno per la difesa della libertà” di Galante Oliva, l’altro: “Il Primo maggio nei primi anni venti del ‘900 a Salerno” scritto di Ubaldo Baldi, il quale ci fa dono di questa chicca finale rispolverando anni più lontani, quelli nei quali si lottava ancora per la celebrazione della festa. Ricorrenza che fu consacrata nel programma minimo dei tre otto:otto ore di lavoro, otto ore di istruzione e di svago,otto ore di riposo. Come declamava il grande poeta russo Majakosvskij in una delle poesie scritte per dare valore al primo maggio: “Salutate il primo fra tutti i maggi con una piena fertilità, di primavere, di uomini! Verde dei campi, canta! Urlo delle sirene, innalzati! Sono il ferro, è mio questo maggio! Sono la terra, questo maggio è mio!”. C’è vigore, preoccupazione per il domani, ma c’è la voglia di andare avanti. Questo è lo spirito che si coglie nell’introduzione del libro di Mimmo Oliva. L’autore se da un lato manifesta la sua sensazione di sentirsi orfano di tutte le conquiste e le speranze avute e vissute negli anni precedenti, quelli di Paddy; dall’altro fa appello a qualcosa che “se vogliamo”, possiamo anche chiamare “coraggio d i cambiare”. Abbracciando un nuovo concetto di “contemporaneità” che abbia modi, tempi, linguaggi nuovi ma che sappia a sua volta modificarsi costantemente, che si adatti alle esigenze mantenendo la capacità di sognare. Come dice D’annunzio “dateci il sogno” perché grazie ad esso altri prima di noi hanno imparato a resistere.
E noi ci crediamo.
di Valentina Petrosino